Nel mare oscuro dei social network, ti ritrovi ad assistere alla chiusura della pagina “Sesso, Droga e Pastorizia”, tanto discussa e controversa. Come se si trattasse di un racconto morale, in cui il destino di un milione di seguaci è improvvisamente sospeso, ti trovi a riflettere sul potere delle parole e delle immagini in un contesto digitale, dove ogni azione ha conseguenze imprevedibili e spesso inaspettate.
Lo strano annuncio della chiusura arriva da Selvaggia Lucarelli, una sorta di narratrice moderna che denuncia le ombre e gli abusi presenti nella narrazione virtuale. Una luce cruda illumina il lato oscuro della pagina, rivelando contenuti offensivi, sessismo dilagante e persino minacce, come se si trattasse di un capitolo oscuro di una novella contemporanea.
Eppure, mentre la pagina principale va incontro al suo destino digitale, i gestori creano una seconda pagina, come se fossero personaggi di un romanzo che si rifiutano di scomparire. La loro dichiarazione sembra quasi un comico giro di parole, come se cercassero di ricomporre l’incanto rotto della narrazione perduta, anzi, cancellata. Si ergono come pastori erranti, alla ricerca della propria voce e della propria identità nel caos digitale, come se volessero riscrivere il proprio finale nel grande libro della rete.
Dall’altra parte, emerge la voce accusatoria di Lucarelli, che rivela il volto lurido degli adoratori della pagina, come se si trattasse di un’implacabile cronaca sociale. Bacchette magiche e incantesimi digitali sembrano evocare macchie indissolubili, come se ci fosse un prezzo da pagare per aver distorto la realtà in un arazzo di parole e immagini.
E mentre il dibattito infuria, il destino della pagina principale rimane incerto, come se un capitolo si fosse chiuso ma la storia non fosse ancora giunta al suo epilogo. E tu, come un lettore smarrito in una foresta di electroniche parole, osservi la vicenda sfuggente con occhi stanchi ma curiosi, cercando di trarre un senso da questa intricata tela digitale, come se volessi scoprire il significato nascosto dietro le righe di un racconto moderno.